The floating pith

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I bambini di Monte Isola e i pontili galleggianti di Christo

 

Ho visto dei bambini, giorni fa, con un’agitazione rara.

L’eccitazione di chi percepisce che sta accadendo qualcosa di inimmaginabile e di elettrizzante. Qualcosa che naturalmente ti mette su di giri e ti porta in quel posto, variegato di gioia ed energia, che alcuni chiamano felicità.

Erano i bambini di Montisola.

Correvano sui teli zafferano stesi davanti alle case, alle piccole corti, agli usci dei negozi, fin sulla soglia di quell’oggetto magico che, per alcuni giorni, li avrebbe, con pochi agili saltelli – persi nel riso senza freni di chi non ci può credere – fatti approdare alla sponda vicina. Sul molo scuro, scomodo e squadrato di quella specie di continente che, per ogni isolano, è sempre un altro mondo, un’altra vita, un’altra storia.

L’idea di Christo è geniale. S’innesta – come una coda di rondine – in quell’incastro vuoto del nostro immaginario, legato ad un archetipo diffuso pressoché in tutto il mondo: la passeggiata sulle acque.

È stata ben progettata e ben realizzata. Il piede, al primo appoggio, cede, nella percezione gommosa dell’acqua, che spinge, sciabordando blandamente sotto i pannelli. Il primo passo è subito incerto. Si ondeggia, in un dondolio molto vicino a ciò che definiamo “mal di mare” (o mal di lago?). Insomma si cammina, in qualche modo, sull’acqua. L’obbiettivo, a meno che non si pensasse ad un miracolo nuovo, è centrato.

Un’idea geniale fa un lavoro artistico?

Perché ci si trovi di fronte a un’opera d’arte occorre un’emozione, forte o profonda. Occorre uno spiazzamento del punto di vista, qualcosa di simile a un scossa tellurica che rimescoli sensi e intelletto, ragioni e passioni. Occorre, spesso, uno squarcio nel tempo e nello spazio che ti porti altrove, a velocità lentissime o interstellari, pur lasciandoti lì, nell’esatto posto dove sei, nel medesimo momento in cui le cose accadono. Una sospensione, un raccoglimento, o uno smarrimento, un ritrovamento. Oppure occorre uno stupore che persista, che ti interroghi a lungo. Uno stupore che lasci un segno tanto delicato quanto indelebile, come una traccia di ammonite, in una dolomia rosa, o un trottoir di gasteropodi che affiora dal mare, da ere lontane, per raccontarci non tanto chi siamo ma dove siamo. Quale inenarrabile storia del cosmo ci ha condotti qui.

Non sono sicuro che qualcosa di questi elementi emerga dall’installazione. Ma, credo, importi poco. Sulla passerella e al di là delle sponde si percepisce un clima gioioso, di festa. Una sensazione diffusa di condivisione popolare, di empatia sincera.

Una signora, nella sua bella bottega di reti da pesca – orgoglio antico dei montisolani – mi diceva: non vi ho ancora messo piede. Ma nessuno, che non viva qui, potrà mai capire cosa vuol dire passare di là senza dovere aspettare un traghetto, una barca. E deciderlo semplicemente quando ti va.

Durerà solo per due settimane, ma io capivo benissimo cosa voleva dirmi la signora. Un evento per il quale la parola straordinario non potrebbe avere alcun altro sinonimo che non ne riducesse la portata.

Ho letto, nei giorni precedenti l’apertura del passaggio, di ipotetici problemi di sicurezza , di ricaduta ambientale o dello sfruttamento di tanti giovani. Vittime, questi ultimi – diffusamente purtroppo – di quella distorsione vile del mercato del lavoro che si consuma sotto quel lemma estraneo, più che straniero, di “voucher”. Non so se si tratti di notizie fondate. Se così fosse però non sarebbe solo ottuso, come lo è sempre, ma anche irresponsabile guardare al dito tralasciando la luna.

Di certo in quest’epoca di muri, di frontiere, di chiusure e di restrizioni, le banchine galleggianti di Christo sono un ponte, insieme, simbolico e reale.

Un ponte libero, senza pedaggi, aperto a tutti, senza esclusioni, senza limitazioni. Un luogo d’incontro e di passaggio, un luogo vivo e vivace.

Durerà poco, ed è giusto che sia così. Ma foss’anche solo per quei bambini sorridenti, quell’energia fluente e ininterrotta nelle gambe magre e forti; foss’anche solo per i racconti, che si tramanderanno, di lustro in lustro, da oggi e per sempre; foss’anche solo per questa piccola luce in fondo al molo, su acque nervose e terre di nuovo, ancora maledettamente, ferite e desolate, andrebbe accolto come una cosa buona, uno spicchio di sole.

I bambini di Monte Isola diventeranno grandi. Potranno dire che nulla è impossibile, nemmeno camminare sulle acque.

A loro, una volta, è riuscito.