Lievito Madre *

Curare leggero e irriducibile 

Cartilagini d’ali ambrate, mari, oceani, di infinitesimali supernove esplose nel fragore di uno sfrigolio raccolto, impercettibile. Sono così le carte oleate sottili, evanescenti, eppure resistenti, indome, del lavoro di Annamaria Gallo. Le tracce, i segni, i graffiti che si sviluppano e si diramano sui fogli di cottura degli impasti raccontano e svelano strati via via più profondi della ricerca dell’artista.

Fare il pane – nei giorni, nei mesi, del lungo e terribile Grande Confinamento – è stato per molti e molte una scelta, una riscoperta, oppure una necessità, quando la morte e la paura si sono infilate, silenziose ed invisibili, nelle case, nelle strade, tra i nostri respiri e le vite del pianeta intero. Lievito Madre. Le parole raccontano quasi sempre molto di più di quanto non appaia ad una prima lettura. Farina, acqua e dei microrganismi, dei batteri, che danno luogo ad uno dei più antichi e universali nutrimenti umani: il pane. Lievità, leggerezza, espansione soffice, librazione, liberazione: quanti sguardi, quanti movimenti dietro e dentro quella parola che a molti ricorda un cubetto color tortora in uno scaffale refrigerato o della polvere cipria, con delle venature d’ocra, conservata in piccoli vasetti di vetro. O ancora crescere, ampliarsi, mutare forma, colore, sapore, profumo, restando della medesima sostanza dell’origine. Qui si innesta la parola madre che svela la direzione e l’obbiettivo di quel sostantivo maschile. Si apre l’universo della generazione, della cura, della forza irriducibile, si disvela il significato autentico dell’accoglienza e dell’intransigenza, del mistero chiarissimo della nostra esistenza.

Tutti questi livelli, queste stratificazioni, queste suggestioni, brillano di una luce diafana e trasparente nei lavori di Annamaria Gallo: dai suoi fogli sfornati, dai filmati in bianco e nero dominati dai gesti, dalle mani, dai suoni e dai respiri di quell’amalgamare, quell’aggregare, quell’incorporare elementi semplici, minimi; dal grande origami che giganteggia nella minuscola nicchia che chiude bunkervik. Un origami fatto di vecchi tessuti, tovaglie lise, consumate, strappate, teli pieni di vita, di storie, consumati da briciole e lacrime, da solitudini e abbracci. Un lavoro che troviamo alla fine del percorso, che sembra raccogliere il vento aspro e leggero che per quella lunga, luminosa e verdeggiante cresta, da S. Maria del Giogo, passando per Punta Almana, fino alla vetta nuda e solitaria del Monte Guglielmo, riempie e rigonfia le coste del Sebino portando con sé il profumo del ghiaccio e del magma, del plutone, dell’Adamello. Quel vento che accompagna da sempre il lavoro di Annamaria Gallo, che si intrufola nel suo studio sulle rive del lago d’Iseo, fa risplendere d’azzurro e di neve la sua ricerca, il suo percorso espressivo.

I due tunnel di bunkervik con questa mostra diventano antro originario, luogo della custodia, della protezione, luogo della terra. Della terra madre. Quella terra madre che ha segnato il nucleo originario dell’esperienza di Slow Food che, non casualmente, ha collaborato con Gallo e il suo progetto. Quella terra madre da cui tutto nasce, cui tutto torna, consegnataci come un dono passeggero, uno scrigno di bellezza.

 

* ho avuto il privilegio di curare la significativa e intensa mostra di Annamaria Gallo assieme a Ilaria Bignotti, docente universitaria, curatrice e critica d’arte di grande valore.