IL POTERE TREMENDO, DEVASTANTE, DELLA LINGUA.
Ne avevo a sufficienza del linguaggio delle vetrine, dei manifesti, delle divise
brune, delle bandiere, delle braccia tese nel saluto nazista, dei baffetti inteccheriti alla Hitler. Mi rifugiavo, mi sprofondavo nel mio lavoro, tenevo le mie lezioni, dolorosamente mi sforzavo di non vedere come i banchi davanti a me fossero ogni giorno più vuoti. (...) Se per caso o per errore mi capitava fra le mani un libro nazista, dopo il primo capitolo lo buttavo via. Se per la strada sentivo sbraitare Hitler o il suo ministro della propaganda, facevo un'ampia deviazione per allontanarmi dall'altoparlante; mentre leggevo i giornali mi sforzavo il più possibile di pescare i fatti nudi e crudi - che nella loro nudità erano già sufficientemente sconsolanti - dalla disgustosa brodaglia di discorsi, commenti e articoli.
Quando poi si fece pulizia tra i dipendenti statali e io persi la mia cattedra, cercai più che mai di isolarmi dal presente. Gli illuministi, Voltaire, Montesquieu, Diderot, così poco moderni e tanto
disprezzati da chiunque si ritenesse importante, erano stati sempre i miei preferiti. Ora potevo impiegare tutto il mio tempo e le mie capacità lavorative nella mia opera, già arrivata a buon punto. (...) Ma poi mi colpì il divieto di frequentare le biblioteche, che mi sottrasse la possibilità di continuare il lavoro della mia vita. Poi venni cacciato di casa, e poi tutto il resto, ogni giorno qualcos'altro. Ora l'asta per reggermi in
equilibrio divenne il mio attrezzo più necessario, la lingua del tempo il mio interesse primario.
Cominciai a osservare sempre più attentamente come parlavano gli operai in fabbrica, come si esprimevano le bestie della Gestapo e anche come ci si esprimeva fra noi, noi ebrei chiusi in gabbia. Non si potevano notare molte
differenze, addirittura proprio nessuna. Indubbiamente, nazisti e loro avversari, beneficiari e vittime, erano tutti guidati dagli stessi modelli.
Da "LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo", Victor Klemperer.